Martina Campi

04. Poi ha squillato il telefono. (Maximilian Hecker).

Finalmente era sera e l’aria iniziava a muoversi.
Ho spalancato le finestre e chiuso gli occhi. Maximilian Hecker cantava nel mio vecchio stereo. Pensavo a Leo. Desideravo che fosse lì con me. Le ombre si allungavano sulla via; mi sentivo paralizzata, come se mi stessi sciogliendo sotto il sole, in mezzo ad un parcheggio d’asfalto fumante. La luna era un ciglio sottile; la guardavo, senza poter far smettere quella sensazione di immobilità che avevo dentro. Nella mia testa pulsavano migliaia di modi, situazioni diverse, che mi avrebbero riportato in me, ma non ricevevo suggerimenti. Poi ha squillato il telefono. Ho risposto subito, senza guardare.

Non era Leo.
Mentre Carlo parlava, pensavo all’ennesimo no che gli avrei detto e mi chiedevo se avrei inventato qualche scusa stavolta, per non uscire. O se gli avrei semplicemente detto che non ne avevo voglia. Mentre immaginavo la casa allagata, o di essere a letto con 40 di febbre, in realtà stavo assicurando – a lui come a me – che non sarei mancata alle riprese del suo lungometraggio.
Ero sorpresa e già pentita, ancora prima di riattaccare. E dovevo essere sul posto alle 5 di mattina.

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