Stavo in casa a ripararmi dal caldo, a far passare il tempo. Non rispondevo al telefono, se non a Leo; lasciavo squillare e non rispondevo.
Credevo che in tutto quel tempo avrei suonato, solo suonato. Avevo anche preparato un intenso programma di studio.
E poi credevo che avrei ascoltato. Sopra il letto, a luce spenta, ascoltato tanta musica. Avevo scaffali di cd e mi ero prefissata di scoprire i segreti di ciascuno.
Invece restavo in silenzio. Ore e ore. Giornate intere di silenzio. Scrivevo a Francesco lunghissime lettere immaginarie. E telefonate intense e sintetiche con Leo, sempre immaginarie.
Avevo fatto anche mezzo trasloco in puro silenzio, prima che arrivasse Daria a darmi una mano.
Lasciavo la mia stanza alla ragazza Giapponese che veniva a stare da noi, per trasferirmi in quella di Fiona, che era un po’ più grande.
Quella notte, mentre spostavo letti e armadi, vestiti e scrivanie Riccio mi aveva seguita ovunque.
Il giorno dopo c’era Daria ad aiutarmi e rompere il silenzio. Anche se sembrava non avessimo gran che da dirci.
Dopo il trasloco abbiamo passato il resto del pomeriggio al buio, a ritagliare fogli di carta.
Poi lei ha preso l’autobus verso la stazione.
Quel giorno ho appeso un quadro, sulla parete della mia nuova stanza. La fotocopia a colori, in realtà, di un quadro. Si chiamava Mari del Nord, o qualcosa di simile.
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