Martina Campi

10. Sedute sul pavimento. (Truffaz).

Yuka era tornata.
Finiva di sistemare le ultime cose e poi ripartiva per un corso estivo a Umbria Jazz.
Aveva visto qualche mio disegno appeso in camera e pensava di poter dedurre che ero depressa.

La luce rossa si diffondeva nella stanza e si confondeva con quella verde; la musica di Truffaz risuonava in una qualunque notte d’estate. Non ero depressa.
Anche se Yuka non ci credeva. Stavo solo cercando di chiudere alcuni cerchi lasciati aperti troppo a lungo; proprio perché non era così facile. Lo facevo stando sola.
Leo era lontano e forse non riuscivo a controllare il vuoto che questa lontananza mi aveva creato.

Sedute sul pavimento parlavamo sottovoce come se niente fosse di azioni e reazioni e circostanze.
Nonostante tutto mi piaceva essere lì.

Abbiamo aperto una bottiglia di vino e appoggiato i bicchieri sulle mattonelle bianche della stanza. Dalle finestre entrava l’aria fresca che seguiva il temporale.
Tutto poteva cominciare lì.

Il respiro caldo e graduato si appoggiava all’aria, allontanandosi dalla bocca, dai pensieri.
C’era una calma intima e densa.
L’italiano rigido e senza articoli di Yuka, mi faceva sorridere, mentre confrontava le sue teorie con la realtà. La sua voce disponeva ritmi sconosciuti, ricordi rauchi e ruvidi, irrinunciabili.

Io, contemporaneamente banale e decisiva, mi lasciavo coinvolgere dalla conversazione e dal vino. Era un Valpolicella che mi si adattava senza sforzo. A volte la desolazione delle pause era gelida ed imprevista, ma altrettanto breve.
Uno sgomento riconoscersi porzioni inesatte di realtà, costituita in gran parte da memorie imperfette e logore.
Le parole rimbalzavano susseguendosi, sulla musica fredda e superba di Bending New Corners.

Era un dolore silenzioso che rimane.
Era un conoscersi a fondo.

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